Era il simbolo della fragilità ma sembrava invincibile. Riusciva a venir fuori da ogni disavventura con disarmante naturalezza. La stessa che da giocatore gli permetteva di evitare nugoli di avversari a caccia delle sue gambe più della palla. E se lo prendevano si tirava su come una molla.
Ci aveva abituati a cadute e risalite. E forse proprio per questo, nonostante le avvisaglie, la scomparsa ci ha colti impreparati e increduli. Così increduli da voler verificare e aspettare e verificare ancora la notizia data dal quotidiano argentino Clarin: Diego Armando Maradona è morto per un arresto cardiaco nella residenza di Tigre, dove stava riprendendosi dalla recente operazione al cervello. Le foto di qualche giorno prima, che lo ritraevano sorridente nel letto d’ospedale dopo l’intervento, facevano pensare a un altro scampato pericolo. Non è stato così.
Nemmeno un mese dopo aver compiuto 60 anni ed essere stato festeggiato un po’ ovunque, adesso il mondo intero lo piange. Basta vedere homepage e prime pagine dei quotidiani per avere la misura della grandezza del mito. “Il più umano degli immortali” ha titolato il New York Times. Liberation si è limitata a un eloquente “Celeste”. In questo infausto 2020 giusto Maradona poteva rimuovere dalle prime pagine sia il Covid che Trump.
Riconosciuto universalmente come dio del pallone, Dieguito è andato oltre il calcio. Solo Pelè può dire altrettanto. Più dei tre giorni di lutto nazionale decretati in Argentina, la dimensione extracalcistica di Maradona è rivelata da messaggi di cordoglio non convenzionali, come quello del presidente della Repubblica francese Macron, pubblicato sul sito dell’Eliseo. Raramente un omaggio istituzionale è stato così ispirato e intimo, con parole e pensieri che rivelano amore, ammirazione e nostalgia, come il riferimento alla figurina dell’album Panini del Mondiale del Messico 1986.
Nessuno è stato indifferente a Maradona. I tifosi, anche rivali, riconoscevano le giocate inimitabili che dispensava in campo. Apprezzamento che diventava adorazione per chi aveva la fortuna di vederlo giocare con la maglia della propria squadra. Privilegio toccato ai tifosi della nazionale argentina e di Argentinos Juniors, Boca Juniors, Barcellona, Napoli, Siviglia e Newell’s Old Boys. Don Diego ha elevato tutte queste squadre. Anche il breve cameo col Newell’s, appena cinque partite, ha generato entusiasmo.
Una magia universale che non si può spiegare con i successi, metro utile per distinguere tra campioni e ottimi giocatori. Qui siamo però al cospetto di un mito, tanto grande e complesso, che diventano note a margine sia i premi individuali, come i palloni d’oro sudamericani, che quelli di squadra. E parliamo di imprese epocali, come la vittoria del mondiale 1986 con l’Argentina e la straordinaria doppietta all’Inghilterra; o i due scudetti regalati al Napoli, in una serie A che ospitava i migliori calciatori del mondo, in una sorta di Nba calcistica o Champions League domenicale ante litteram.
Maradona non ha mai giocato la Champions League come la conosciamo adesso. Sino al 1991 la Coppa Campioni era riservata a chi conquistava il titolo nazionale, non alle prime tre o quattro. Così si spiega il bilancio di appena sei partite e due gol nel massimo torneo continentale europeo. Tutte con la maglia del Napoli. Nel biennio a Barcellona i blaugrana di Maradona e Schuster erano impegnati in Coppa delle Coppe: otto reti in sette gare per l’argentino e due eliminazioni ai quarti. Anche in campo europeo si rifarà a Napoli, con la conquista della Coppa Uefa 1988-89.
Diego Armando Maradona era una persona generosa e umile. La serie tv Netflix sull’esperienza alla guida dei Dorados rivela al mondo intero quel che compagni di nazionale hanno sempre raccontato: un cuore grande così. Le stesse cose dicevano a Barcellona. Appena arrivato in blaugrana minaccia di non giocare l’amichevole col Paris Saint Germain: “Il calcio è uno sport di squadra, senza i miei compagni non posso fare nulla. Il bonus che date a me devono prenderlo tutti, uguale, altrimenti non gioco”. Con le squadre già negli spogliatoi, dopo aver strepitato contro l’assurdità della pretesa, il presidente Nunez deve cedere. Inizia il braccio di ferro con la dirigenza che porta nel giro di due anni Maradona a Napoli. Anche qui saranno in tanti a beneficiare della bontà d’animo del Pibe, come ricorda spesso Ciro Ferrara. Non solo i compagni, ma anche i commercianti locali, che potevano mettere la sua faccia su magliette, tazze e gadget di ogni genere senza pagar nulla. Un regalo indigeribile per i suoi agenti, costretti ad accettare il via libera di Diego: “Nessuna azione legale. Se della povera gente può fare due soldi grazie a me sono contento per loro”.
In queste ore si sprecano le immagini di campioni e personaggi dello spettacolo ritratti con Maradona. Tutti hanno una foto ricordo con lui. Eric Cantona lo ha ricordato diversamente, mettendo sul suo profilo Instagram un’immagine di Diego con Johan Cruyff: “Prima Cruyff, adesso Maradona. Il calcio che amo non esiste più”. LECHAMPIONS